Educare le emozioni con “emozione”
E’ giusto ribellarsi a una certa cultura che prevede che le emozioni debbano essere sempre controllate: che non bisogna piangere né ridere troppo e nemmeno essere eccessivamente tristi. – Paolo Crepet
Ogni bambino nasce fornito di un “kit di emozioni”, ma soprattutto con la competenza innata di provare emozioni.
La competenza innata entra in relazione, fin dai primi istanti di vita del bambino, con le svariate risposte che l’ambiente a lui circostante comincia a fornire.
La mamma rappresenta per il bambino uno “specchio parlante”: le risposte, verbali e non verbali, fornite e ripetute nel tempo contribuiscono alla formazione dell’immagine di sé del bambino.
Il dialogo continuo tra la competenza innata di provare emozioni e l’educazione e l’allenamento alle emozioni fornito dall’ambiente circostante (i genitori in primis, poi gli insegnanti, i coetanei …) contribuiscono allo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva, in continua evoluzione per tutta la vita ma di primaria importanza nell’infanzia per lo sviluppo sano ed equilibrato del bambino di oggi e l’adulto di domani.
Le abilità principali che il bambino sviluppa attraverso l’Intelligenza Emotiva sono:
• Consapevolezza di sé
• Autostima
• Motivazione
• Empatia
• Sviluppo di relazioni interpersonali
In sintesi, il bambino apprende a passare dalla pulsione, che porta ad una scarica e reazione immediata, all’emozione, attraverso comportamenti mediati e regolati.
Le emozioni primarie sono la gioia, rabbia, tristezza e paura. Il bambino le prova, fisicamente, energeticamente e le esprime ma spetta all’adulto cercare di decodificarle, interpretarle, riconoscerle. Non sempre è facile, soprattutto quando il bambino è molto piccolo e non si esprime verbalmente e soprattutto se lo stesso adulto è poco consapevole dell’importanza delle emozioni per la vita.
Cosa fare?
Il genitore deve empatizzare con l’emozione e lo stato d’animo del bambino: ciò non significa accondiscendere ad ogni sua richiesta, ma parafrasare, rispecchiare e tradurre ciò che emerge. E’ un po’ come dare voce al bambino e alle sue espressioni, dandogli conferma di essere stato visto, ascoltato e riconosciuto nei propri bisogni. Il messaggio che al bambino deve arrivare è: “Puoi provare emozioni, puoi essere arrabbiato, triste, puoi chiedere aiuto e manifestare come ti senti!”
L’atteggiamento del genitore dovrebbe essere caratterizzato da pazienza, interesse, ascolto e aiuto concreto: egli cioè dovrebbe rispondere e gestire tempestivamente le emozioni del bambino, pur non cadendo nel permissivismo e lassismo educativo.
Attraverso un atteggiamento di questo tipo il bambino impara a fidarsi di se stesso e delle proprie emozioni, a leggere le proprie emozioni senza spaventarsi, a socializzare liberamente e senza inibizioni.
Cosa occorre evitare?
– Negare le emozioni del bambino, anche quelle forti e anche quando appaiono esagerate.
– Sminuire e sottovalutare le emozioni, ancora peggio ridicolizzarle, anche quando sembrano senza senso o di poca importanza rispetto alla propria esperienza adulta.
– Mostrare paura verso l’espressione di emozioni quali la rabbia o la tristezza;
– Scambiare l’atteggiamento di ascolto, accoglienza e empatia con il permettere al bambino di fare e chiedere ogni cosa purché non soffra e smetta di protestare.
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